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NUMERO 4, Gennaio 2011

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PERCHÉ I CERVELLI NON RIENTRANO IN ITALIA

 

La fuga dei ricercatori italiani all’estero non fadibattere solo in Italia: gli stessi interessati siconfrontano sul web parlando delle proprie esperienze, in ogni spazio che viene messo loro a disposizione. Tra questi il portale Lei Web che tra i posts dedicati alla salute ne ha uno dedicato alla "Vita da ricercatore". A scrivere recentemente è stata Cristina Morganti-Kossmann, professore associato di neuroscienza alla Monash University del Victoria (Australia). Nel suo post, la ricercatrice spiega perché, secondo lei, nonostante la legge appena approvata, difficilmente i' cervelli' rientreranno in Italia. Di seguito il suo intervento. "Sembra che il tema della fuga dei cervelli all’estero stia davvero occupando una buona parte delle discussioni sia di scienziati che dipolitici italiani. Qualcuno di noi ricercatori residenti all’estero avrà forse sentito parlare o avrà persino partecipato alla Prima Conferenza Nazionale sulla Ricerca Sanitaria che si è tenuta sul Lago di Como a Cernobbio, organizzata dal ministro della salute Fazio, lo scorso novembre. Nonostante l’invito, purtroppo non ho avuto la possibilità di allontanarmi dal lavoro. Qualche informazione si può trovare già sulla prima pagina dove si legge: "La Conferenza nasce come momento di approfondimento e confronto sugli indirizzi di sviluppo della Ricerca Sanitaria ed è un luogo di incontro privilegiato per il mondo della Ricerca. La Conferenza vedrà partecipare i 100 più importanti ricercatori italiani operanti all’estero invitati dal Ministero della Salute con l’obiettivo sottolineato più volte dal Ministro Fazio di promuovere l’internazionalizzazione della ricerca italiana attraverso l’istituzione di un network dedicato a tutti i ricercatori italiani nel mondo al fine di valorizzare al massimo i saperi e le competenze italiane all’estero nell’obiettivo comune di contribuire alla crescita del Sistema Paese". Questo sembra davvero un passo di importanza strategica per migliorare la condizione della ricerca nel nostro paese e promuovere, allargandola a paesi più affermati, la nostra ricerca biomedica e renderla più competitiva a livello globale. Inoltre la partecipazione di rappresentanti dell’industria alla conferenza potrebbe aiutare la ricerca italiana ad espandersi nel settore della commercializzazione che negli ultimi anniè diventato un vero focus della ricerca applicata al fine di portare profitto e intellectual property sia ai ricercatori che agli istituti di ricerca. Mi auguro che questa iniziativa diventi un appuntamento annuale indipendentemente dai possibili cambiamenti del quadro politico dei prossimi governi. Inoltre aggiungo che la nostra ricerca è ancora troppo dipendente dalla situazione politicae economica del momento. Sempre rimanendo in tema ma cambiando di poco l’argomento, l’altro ieri andavo in macchina verso l’istituto (National Trauma Research Institute) che si trova all’Alfred Hospital di Melbourne e come ogni mattina ascoltavo il programma italiano che viene trasmesso duevolte al giorno alle 8 e alle 18 sul canale della SBS (Special Broadcasting Service), una rete sia televisiva che radiofonica che trasmette programmie notiziari in oltre 70 lingue. Un’emittente molto attenta alla diffusione della cultura di tutti i gruppi etnici presenti in Australia per favorirne l’integrazione nel nuovissimo continente. Riprendo il filo. Ascoltavo l’intervista al deputato del PD, la signora Alessia Mosca che ha preso l’iniziativa sfociata in una legge appena approvata che favorisce il rientro di ricercatori italiani dall’estero con sgravi fiscali credo fino a tre anni maggiormente vantaggiosi per le donne ricercatrici perché, ahimé, siamo ancora in minoranza rispetto ai nostri colleghi dell’altro sesso. E qui ci sarebbe anche un altro tema da approfondire per comprendere i motivi che scoraggiano le donne a intraprendere questa professione di certo non facile. In seguito all’intervista, la giornalista ha contattato diversi ricercatori italiani residenti all’estero da Hong Kong a Londra o all’Australia per capire cosa ne pensavano del nuovo provvedimento. Non mi sono sorpresa affatto alla reazione decisamente negativa degli intervistati che trovano nei paesi che li ospitano non solo una migliore qualità di vita, ma anche maggiori risorse economiche per la ricerca, ottime infrastrutture e una semplicità burocratica tale da rendere più snelle e veloci le questioni che riguardano la gestione di istituti e dei finanziamenti per la ricerca.Mi è infatti capitato di sentire da eccellenti colleghi italiani con cui collaboro, che lavorano presso l’Università di Milano o l’istituto privato Mario Negri, che nonostante alcuni dei loro progettifossero stati approvati per il finanziamento,ancora nei mesi successivi i fondi non eranostati depositati nelle casse dell’istituto. Ora moltidi noi sanno che la ricerca è estremamentecompetitiva. Ricordo un mio carissimo collega americanoche una volta disse: se hai una buona idea perun progetto, stai sicura che qualcun altro ci ha già pensato prima. La ricerca infatti dovrebbe essere supportata da una burocrazia adeguata perché ritardare gli esperimenti può pregiudicare la divulgazione di importanti scoperte mediche e di conseguenza la reputazione di gruppi di ricerca e degli istituti a cui essi appartengono".

 
 
 

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